14 Dic 25 III dom Avvento A
Is 35,1-6.8.10 Sal 145 Gc 5,7-10 Mt 11,2-11
“Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti, dte agli smarriti di cuore: coraggio non temete, il vostro Dio viene a salvarvi” (Is 35, 3-4).
Mani fiacche incapaci di fare qualsiasi cosa, di portare a compimento decisioni, progetti, condannate all’inconcludenza; ginocchia vacillanti che rallentano la capacità di movimento. C’è un testo analogo nel libro di Sofonia: “In quel giorno si dirà a Gerusalemme: non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia”. Se ti cadono le braccia vuol dire che ti stai per arrendere. Ci sono sempre mille ragioni per scoraggiarsi e smettere di guardare la vita, senza falsi ottimismi ma anche con quel sano realismo e quel senso di responsabilità che ci impediscono di gettare la spugna per andare avanti con responsabilità e coraggio. Sicuramente un cammino faticoso e impegnativo. Ma per questo Dio ci viene incontro invitandoci ad avere fiducia, a gettare sempre lo sguardo oltre l’ostacolo per andare avanti perché Dio non ci abbandona mai: “coraggio, non temete, ecco il vostro Dio. Egli viene a salvarvi” (v 4).
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto (vv 5s)
Queste infermità fisiche sono immagine delle nostre infermità spirituali. Siamo ciechi che credono di vedere, sordi che credono di sentirci. Pariamo, parliamo ma non comunichiamo nulla. Camminiamo di fantasia ma in realtà non ci spostiamo di un metro. Davanti a questa situazione, più morale che fisica, Isaia ci parla di un giardino al posto di una terra arida, di una strada che si apre dove c’era solo un labirinto e vicoli ciechi. Il senso profondo di queste immagini, va oltre gli aspetti storici e rinviano a un cambiamento interiore, profondo; ad una rinascita spirituale e culturale, di mentalità. La terra arida senza via d’uscita siamo noi: “Dio, dall’aurora ti cerco, ha sete di te l’anima mia, come terra arida e senz’acqua, di te ha sete l’anima mia”. Il giardino e la strada non possono esserci fuori se non germogliano prima dentro il nostro cuore. Dobbiamo dire che siamo noi ad intossicare il mondo? “
La chiave che svela l’enigma la troviamo nel capitolo 32 di Isaia: “Ma infine in noi sarà infuso uno spirito dall'alto; allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva. Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre. Il mio popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni tranquille, in luoghi sicuri” (Is 32 15.18).
Isaia si riferisce certo al ritorno del popolo di Israele dall’esilio, un evento storico reale che portò alla rinascita di Israele durante il quinto secolo avanti Cristo. Ma queste parole orientano la nostra comprensione nella direzione cambiamento delle persone, interiore, profondo e radicale. D’altra parte, ce lo dice bene un altro profeta “vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi metterò un cuore di carne” (Ez 36). Nel testo di Isaia è la stessa cosa. Il cambiamento è l’ effetto di uno spirito che rende capace l’uomo di “praticare la giustizia”. Il deserto che fiorisce è quello di un’umanità che crea condizioni per una pace vera nella quale anche tranquillità e sicurezza non sono garantite dall’esterno ma sono il frutto di una coscienza e di una mentalità nuova, dono ma anche impegno.
In questo modo la liturgia di questa terza domenica ci invita alla gioia, non quella dispersa e agitata di questi giorni, ma una gioia più profonda, semplice ed essenziale che si concentra sull’immagine centrale del Natale quella del bambino che contempliamo nella grotta di Betlemme.
Buona domenica e buona settimana