14 Aprile 2024 

III Domenica di Pasqua B  

Lc 24, 35 - 48 

14 Aprile 2024 

III Domenica di Pasqua B  

Lc 24, 35 - 48  

Nei racconti evangelici della resurrezione c’è una sequenza di fatti concatenati che mostrano come la comunità dei  discepoli supera il trauma della morte di Gesù attraverso un percorso che dal dubbio li porta alla piena adesione a  lui come Cristo (messia) e Signore, abilitandoli ad essere testimoni e continuatori della sua missione.  L’incontro con il Risorto costituisce il culmine di questo itinerario, molto umano, nel quale ai seguaci di Gesù non è  risparmiata la fatica del credere. Tra paura, sconcerto e delusione i discepoli e le discepole di Gesù sono condotti a  “toccare con mano” che Dio è dalla parte di Gesù crocifisso, cioè è un Dio che ama fino a dare la vita. Per questo  mostra le sue ferite che sono la “certificazione”, i segni che sono dati per la fede: i segni del dolore e del fallimento  che diventano i segni dell’amore e della vittoria definitiva della vita. La fede di questo gruppo di suoi seguaci nel  Dio dei padri deve fare un salto incredibile che diventerà poi l’annuncio di Pietro a Pentecoste: “Questo Gesù Dio  lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni … Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha  costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”.  

Il cuore della fede cristiana è proprio qui in questo Gesù che si presenta con i segni del crocifisso è lui l’inviato di  Dio per la salvezza non solo del popolo di Israele ma di tutta l’umanità. L’apparente fallimento della croce si rivela  culmine della rivelazione di un Dio che prima di ogni altra cosa è amore e solo amore. Non possiamo celebrare  l’alba del primo giorno dimenticando la tenebra del Venerdì Santo. La fede cristiana, per essere vera deve affondare  le proprie radici nella consapevolezza e nella solidarietà con la carne crocifissa di ogni persona umana, perché chi  deve risorgere è ogni uomo.  

Il vangelo di questa domenica, come anche quello di domenica scorsa ci dice che la comunità riunita è il luogo  dell’esperienza del risorto. Lo è nel rito come lo deve essere nella vita, attraverso ciò che fa. Anche le esperienze  particolari, come quella dei discepoli di Emmaus confluisce e riconduce alla comunità, costituita come comunità di  testimoni.  

Il passaggio dalla paura/scoraggiamento alla gioia del riconoscimento di Gesù non è tutto. Il risorto compie un  gesto che consente ai discepoli di acquisire piena consapevolezza di ciò che è accaduto: apre la loro mente. E’  sulla base dell’apertura a questa nuova coscienza di un Dio che si fa solidale con l’uomo fino a morire come un  delinquente, che diventa possibile la missione che Gesù ora affida a questa sua comunità di seguaci. Un compito  che non si limita al popolo di Israele per un messianismo nuovo che non riguarda soltanto la vita di qualcuno ma il  futuro di tutte le genti, la cui considerazione e pari di fronte a Dio.  

E’ un compito di testimonianza dove la predicazione si fa prima di tutto attraverso la vita e il modo di operare,  stile che l’evangelista Giovanni sintetizza con l’espressione: Da questo vi riconosceranno, se avrete amore gli  uni per gli altri. Un amore concreto che è meno questione di sentimenti, emozioni, dimostrazioni e più questione  di fatti e modi di rapportarsi con gli altri, dentro e fuori della comunità. E’ l’esperienza dell’eucarestia, il pane  spezzato, che si traduce nel servizio e nel dono di sé affinché ciascuno possa ricevere dall’altro la testimonianza di  un Dio che non abbandona nessuno ma si prende cura di tutti.  

Questo è il compito e il dono di ogni comunità di credenti che spezzando il pane nel rito spezza poi il pane della vita  non solo a immagine del Signore ma diventando essa stessa immagine sua. E’ questa la conversione e la missione di  riconciliazione che è affidata anche a noi che oggi, per un mondo più umano.  

Buona settimana. P. Daniele 




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