Comunità Pastorale 4 Evangelisti - Monza
Venerdì 12 settembre 2025
ADORAZIONE EUCARISTICA Esaltazione Santa Croce Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,13-17)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Papa Francesco - meditazione del 14 settembre 2015
Sembra che il protagonista di queste letture di oggi sia il serpente e qui c’è un messaggio, c’è una profonda profezia in questa presentazione del serpente, è stato il primo animale a essere presentato all’uomo, il primo del quale si parla nella Bibbia, il più astuto degli animali selvatici che il Signore aveva creato. La figura del serpente non è una bella, fa sempre paura: se la pelle del serpente è bella, resta il fatto che il serpente ha un atteggiamento che fa paura. La Genesi dice che è “il più astuto”, ma anche che è un incantatore e ha la capacità del fascino, di affascinarti. Di più: è un bugiardo, è un invidioso perché per l’invidia del diavolo, del serpente, è entrato il peccato nel mondo. Ma ha questa capacità della seduzione per rovinarci: ti promette tante cose ma all’ora di pagare paga male, è un cattivo pagatore. Però il serpente ha questa capacità di sedurre, di incantare. Paolo si arrabbia con i cristiani di Galazia che gli hanno dato tanto da fare e dice loro: «Stolti galati, chi vi ha incantati? Voi che siete stati chiamati alla libertà chi vi ha incantati?». A corromperli era stato proprio il serpente e questa non è una cosa nuova: era nella coscienza del popolo di Israele. Il passo odierno, tratto dal libro dei Numeri, ci ricorda che per salvare da quel veleno dei serpenti il Signore dice a Mosè di fare un serpente di bronzo: chi guardava quel serpente si salvava. E questa è una figura, è una profezia, è una promessa: una promessa non facile da capire. Il Vangelo di oggi poi ci racconta che Gesù stesso spiega a Nicodemo un po’ di più, il gesto di Mosè: infatti, come lui innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna. Quel serpente di bronzo era una figura di Gesù innalzato sulla Croce. Per quale ragione, il Signore ha preso questa figura tanto brutta, tanto cattiva?. Semplicemente perché Lui è venuto per prendere su di sé tutti i nostri peccati, diventando il più grande peccatore senza aver fatto alcun peccato. Così Paolo ci dice che Gesù si è fatto peccato per noi: riprendendo la figura, dunque, Cristo si è fatto serpente. Lui si è fatto peccato per salvarci: questo significa il messaggio della liturgia della Parola di oggi. È esattamente il percorso di Gesù: Dio si è fatto uomo e si è addossato il peccato. Nella lettera ai Filippesi, proposta dalle letture odierne, Paolo spiega questo mistero, anche perché voleva loro molto bene: «Pur essendo nella condizione di Dio, Gesù non ritenne un privilegio di essere come Dio ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini; umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e morte di croce». Dunque annientò se stesso: si è fatto peccato per noi, Lui che non conosceva peccato. Questo, perciò, è il mistero e noi, possiamo dire: si è fatto come un serpente, brutto che fa schifo, per modo di dire. Ci sono tanti bei dipinti che ci aiutano a contemplare Gesù sulla croce, ma la realtà è un’altra: era tutto strappato, insanguinato dai
nostri peccati. Del resto questa è la strada che Lui ha preso per vincere il serpente nel suo campo. Dunque bisogna sempre guardare la croce di Gesù, ma non quelle croci artistiche, ben dipinte: guardare invece la realtà, cosa era la croce in quel tempo. E guardare il suo percorso, ricordando che annientò se stesso, si abbassò per salvarci.
Anche questa è la strada del cristiano. Infatti se un cristiano vuole andare avanti sulla strada della vita cristiana deve abbassarsi, come si è abbassato Gesù: è la strada dell’umiltà che prevede di portare su di sé le umiliazioni, come le ha portate Gesù. Proprio questo è quello che oggi la liturgia ci dice in questa festa della santa Croce. E il Signore ci dia la grazia che chiediamo alla Madonna sotto la Croce: la grazia di piangere, di piangere d’amore, di piangere di gratitudine perché il nostro Dio tanto ci ha amato che ha inviato suo Figlio ad abbassarsi e annientarsi per salvarci.
Riflessione dal sito dell’ordine dei carmelitani
Non ci deve sorprendere il fatto che il brano scelto per questa celebrazione faccia parte del quarto vangelo, perché è proprio questo vangelo che presenta il mistero della croce del Signore, come esaltazione. Questo è chiaro già dagli inizi del vangelo: “come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo” (Gv 3,14; Dn 7,13). Giovanni ci spiega il mistero del Verbo incarnato nel movimento paradossale della discesa
ascesa (Gv 1,14.18; 3,13). È questo mistero infatti che offre la chiave di lettura per capire l’evolversi dell’identità e della missione del Gesù Cristo passus et gloriosus, e possiamo ben dire che questo non vale soltanto per il testo giovanneo. La lettera agli Efesini, per esempio, fa uso di questo movimento paradossale per spiegare il mistero di Cristo: “Ora, questo «è salito» che cosa vuol dire se non che egli era anche disceso nelle parti più basse della terra?” (Ef 4,9). Gesù è il Figlio di Dio che diventando Figlio dell’uomo (Gv 3,13) ci fa conoscere i misteri di Dio (Gv 1,18). Questo lo può fare solo lui, in quanto lui solo ha visto il Padre (Gv 6,46). Possiamo dire che il mistero del Verbo che discende dal cielo risponde all’anelito dei profeti: chi salirà al cielo per svelarci questo mistero? (cfr. Dt 30,12; Pr 30,4). Il quarto vangelo è strapieno di riferimenti al mistero di colui che “è dal cielo” (1Cor 15,47). Queste sono alcune citazioni: Gv 6,33.38.51.62; 8,42; 16,28-30; 17,5. L’esaltazione di Gesù sta proprio nella sua discesa a noi, fino alla morte, e alla morte di croce, sulla quale egli è stato innalzato come il serpente nel deserto, il quale “chiunque... lo guarderà, resterà in vita” (Nm 21,7-9; Zc 12,10). Questo guardare a Cristo innalzato, Giovanni lo ricorderà nella scena della morte di Gesù: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). Nel contesto del quarto vangelo, il volgere lo sguardo vuole significare, “conoscere”, “comprendere”, “vedere”.
Spesso nel vangelo di Giovanni, Gesù si riferisce al suo innalzamento: “Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che io sono” (Gv 8,28); “‘quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me'. Così diceva per indicare di qual morte doveva morire” (Gv 12,32-33). Anche nei Sinottici Gesù annunzia ai suoi discepoli il mistero della sua condanna e morte di croce (vedi Mt 20,17-19; Mc 10,32-34; Lc 18,31-33). Infatti, il Cristo doveva “soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria” (Lc 24,26). Questo mistero rivela il grande amore che Dio ci porta. Egli è il figlio dato a noi, “perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”; questo figlio che noi abbiamo rifiutato e crocifisso. Ma proprio in questo rifiuto da parte nostra, Dio ci ha manifestato la sua fedeltà e il suo amore che non si ferma davanti alla durezza del nostro cuore. Anche con il nostro rifiuto e disprezzo, egli opera la nostra salvezza (cfr. At 4,27-28), rimanendo saldo nel compiere il suo piano di misericordia: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
• Che cosa significa per te l’esaltazione di Cristo e
della sua croce?
• Quali conseguenze comporta nel vissuto della
fede questo movimento paradossale di discesa
ascesa?
• Non dimenticate le opere del Signore!