Adorazione

ADORAZIONE EUCARISTICA

XXVI Tempo Ordinario/A 

Dal Vangelo secondo Matteo (21,28-32)

Comunità Pastorale 4 Evangelisti - Monza 

Venerdì 29 settembre 2023 

ADORAZIONE EUCARISTICA – XXVI Tempo Ordinario/A Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21,28-32

In quel tempo Gesù disse: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e  disse: «Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna». Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi  si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore».  Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E  Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno  di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i  pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste  cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli». 

Papa Francesco - angelus 27 settembre 2020 

Nella mia terra si dice: “A tempo brutto buona faccia”. Con questa “buona faccia” vi  dico: buongiorno! Con la sua predicazione sul Regno di Dio, Gesù si oppone a una religiosità che  non coinvolge la vita umana, che non interpella la coscienza e la sua responsabilità di fronte al  bene e al male. Lo dimostra anche con la parabola dei due figli, che viene proposta nel Vangelo di  Matteo. All’invito del padre ad andare a lavorare nella vigna, il primo figlio risponde impulsivamente  “no, non ci vado”, ma poi si pente e ci va; invece il secondo figlio, che subito risponde “sì, sì papà”,  in realtà non lo fa, non ci va. L’obbedienza non consiste nel dire “sì” o “no”, ma sempre  nell’agire, nel coltivare la vigna, nel realizzare il Regno di Dio, nel fare del bene. Con questo  semplice esempio, Gesù vuole superare una religione intesa solo come pratica esteriore e  abitudinaria, che non incide sulla vita e sugli atteggiamenti delle persone, una religiosità  superficiale, soltanto “rituale”, nel brutto senso della parola

Gli esponenti di questa religiosità “di facciata”, che Gesù disapprova, erano in quel tempo «i capi  dei sacerdoti e gli anziani del popolo» i quali, secondo l’ammonizione del Signore, nel Regno di  Dio saranno sorpassati dai pubblicani e dalle prostitute. Gesù dice loro: “Saranno i pubblicani, cioè  i peccatori, e le prostitute a precedervi nel Regno dei cieli”. Questa affermazione non deve indurre  a pensare che fanno bene quanti non seguono i comandamenti di Dio, quelli che non seguono la  morale, e dicono: «Tanto, quelli che vanno in Chiesa sono peggio di noi!». No, non è questo  l’insegnamento di Gesù. Gesù non addita i pubblicani e le prostitute come modelli di vita, ma come  “privilegiati della Grazia”. E vorrei sottolineare questa parola “grazia”, la grazia, perché la  conversione sempre è una grazia. Una grazia che Dio offre a chiunque si apre e si converte a  Lui. Infatti queste persone, ascoltando la sua predicazione, si sono pentite e hanno cambiato vita.  Pensiamo a Matteo, ad esempio, San Matteo, che era un pubblicano, un traditore alla sua patria. 

Nel Vangelo di oggi, chi fa la migliore figura è il primo fratello, non perché ha detto «no» a suo  padre, ma perché dopo il “no” si è convertito al “sì”, si è pentito. Dio è paziente con ognuno di noi:  non si stanca, non desiste dopo il nostro «no»; ci lascia liberi anche di allontanarci da Lui e di  sbagliare. Pensare alla pazienza di Dio è meraviglioso! Come il Signore ci aspetta sempre; sempre  accanto a noi per aiutarci; ma rispetta la nostra libertà. E attende trepidante il nostro “sì”, per  accoglierci nuovamente tra le sue braccia paterne e colmarci della sua misericordia senza limiti. La  fede in Dio chiede di rinnovare ogni giorno la scelta del bene rispetto al male, la scelta della verità  rispetto alla menzogna, la scelta dell’amore del prossimo rispetto all’egoismo. Chi si converte a  questa scelta, dopo aver sperimentato il peccato, troverà i primi posti nel Regno dei cieli, dove c’è  più gioia per un solo peccatore che si converte che per novantanove giusti (cfr Lc 15,7). 

Ma la conversione, cambiare il cuore, è un processo, un processo che ci purifica dalle  incrostazioni morali. E a volte è un processo doloroso, perché non c’è la strada della santità  senza qualche rinuncia e senza il combattimento spirituale. Combattere per il bene, combattere  per non cadere nella tentazione, fare da parte nostra quello che possiamo, per arrivare a vivere  nella pace e nella gioia delle Beatitudini. Il Vangelo di oggi chiama in causa il modo di vivere la vita  cristiana, che non è fatta di sogni e belle aspirazioni, ma di impegni concreti, per aprirci sempre  alla volontà di Dio e all’amore verso i fratelli. Ma questo, anche il più piccolo impegno concreto,  non si può fare senza la grazia. La conversione è una grazia che dobbiamo chiedere sempre:  “Signore dammi la grazia di migliorare. Dammi la grazia di essere un buon cristiano”.

Maria Santissima ci aiuti ad essere docili all’azione dello Spirito Santo. Egli è Colui che scioglie la  durezza dei cuori e li dispone al pentimento, per ottenere la vita e la salvezza promesse da Gesù.  

Riflessione dal sito dell’ordine dei carmelitani 

La parabola odierna è propria a Matteo ed è la prima di tre parabole che rispondono agli  interrogativi: chi entra nel regno di Dio, a chi sarà dato il regno di Dio e chi è invitato, e se  ne prospettano le soluzioni: chi ascolta ed è capace di ravvedimento entrerà; il Regno sarà dato a  chi porta frutto; tutti sono invitati e nello stesso tempo a tutti sono poste condizioni per essere  ammessi. La parabola dei due figli si consuma all’interno del mondo giudaico: capi religiosi,  pubblicani e prostitute fanno tutti parte di Israele e rappresentano gli estremi di una società  complessa, divisa, in modi diversi colpevole di corruzione o collaborazionismo (nel testo di Matteo  non si allude alla contrapposizione tra giudei e gentili attraverso la quale questo testo sarà letto più  tardi). Questa parabola parla delle condizioni per avere accesso al regno di Dio e lo fa in un  contesto drammatico. Ci troviamo infatti dopo l’ingresso trionfale in Gerusalemme, nell’ultima  settimana della vita di Gesù, nel tempio, nell’ultima controversia che lo oppone alle autorità  giudaiche (cf. Mt 21,23; 22,15) prima dell’ultimo dei cinque discorsi che strutturano il Vangelo di  Matteo. Vorrei sottolineare solo alcuni paralleli con l’inizio di questo vangelo e il primo discorso nei  capitoli 5-7 di Matteo. Nel discorso della montagna Gesù afferma che non è venuto ad abolire  la Legge ma a compierla (cf. Mt 5,17-48), insiste sul binomio dire-fare e sulla necessità di  compiere (cf. Mt 7,21-29) e di produrre frutti buoni (cf. Mt 7,13-20). Alla fine Matteo registra:  “Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli  infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi” (Mt 7,28-29). La  problematica dell’autorità e della autorevolezza della parola di Gesù la troviamo anche nei versetti  immediatamente precedenti il testo odierno. Nel tempio i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo  chiedono a Gesù: “Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?” (Mt  21,23). Mi sembra che la fonte (o una delle fonti) di tale autorità sia nell’obbedienza di Gesù alle  Scritture, nel suo compiere la Legge (l’insegnamento del Signore). La Legge è stata data a Israele  come via di vita, insegnamento per illuminare la via che porta alla vita. Nel linguaggio di Matteo  questa è anche una via di giustizia, come è detto a proposito di Giovanni Battista che  riproponeva con forza profetica le esigenze dell’insegnamento del Signore. Per Gesù, nel  suo rivolgersi ai discepoli, questa via della giustizia diventa fare la volontà del Padre. Infatti è  volontà di Dio che tutti siano condotti su una via di vita: “Così è volontà del Padre vostro che è nei  cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda” (Mt 18,14). Compiere le Scritture è rendere  accessibile la sorgente di vita che esse rappresentano. Le folle che per prime ascoltano  l’insegnamento di Gesù e che Matteo ci presenterà come pecore stanche e sfinite che non hanno  pastore (cf. Mt 9,36) hanno percepito l’autorità di Gesù perché desideravano trovare la vita. In  fondo è l’apertura a un desiderio che può renderci sensibili al desiderio di vita di Dio per noi.  Proprio nel suo primo discorso Gesù ha insegnato ai suoi discepoli la preghiera al Padre: “Sia fatta  la tua volontà”, preghiera che lui stesso ripeterà nell’ora più buia della sua esistenza. Con tale  preghiera anche noi chiediamo ogni giorno di essere abitati dallo Spirito santo per vedere ciò che  porta alla vita e saper discernere sempre che la volontà di Dio è salvezza per tutti. Docilità e  intelligenza del significato profondo dell’insegnamento del Signore, apertura allo Spirito  santo e un cuore abitato dal desiderio sono i frutti della nostra fatica con cui ci presentiamo  per essere accolti nel banchetto del Regno. 

- Provo a pensare quando  

dico di si ma poi non  

faccio e quando dico di no  

ma poi faccio? Il mio  

rapporto con Dio com’è?  

- Chi sono i pubblicani e le  

prostitute di oggi che ci  

passano avanti nel Regno  

dei cieli? 

- Ricordati, Signore, della  

tua misericordia.








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