Comunità Pastorale 4 Evangelisti - Monza
Venerdì 24 ottobre 2025
ADORAZIONE EUCARISTICA XXX Tempo ordinario C Dal Vangelo secondo Luca (Lc 18,9-14)
In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».
Papa Francesco - Angelus del 23 ottobre 2022
Il Vangelo. Il Vangelo della Liturgia odierna ci presenta una parabola che ha due protagonisti, un fariseo e un pubblicano, cioè un uomo religioso e un peccatore conclamato. Entrambi salgono al tempio a pregare, ma soltanto il pubblicano si eleva veramente a Dio, perché con umiltà scende nella verità di sé stesso e si presenta così com’è, senza maschere, con le sue povertà. Potremmo dire, allora, che la parabola è compresa tra due movimenti, espressi da due verbi: salire e scendere.
Il primo movimento è salire. Il testo infatti comincia dicendo: «Due uomini salirono al tempio a pregare». Questo aspetto richiama tanti episodi della Bibbia, dove per incontrare il Signore si sale verso il monte della sua presenza: Abramo sale sul monte per offrire il sacrificio; Mosè sale sul Sinai per ricevere i comandamenti; Gesù sale sul monte, dove viene trasfigurato. Salire, perciò, esprime il bisogno del cuore di staccarsi da una vita piatta per andare incontro al Signore; di elevarsi dalle pianure del nostro io per salire verso Dio – liberarsi del proprio io –; di raccogliere quanto viviamo a valle per portarlo al cospetto del Signore. Questo è “salire”, e quando preghiamo noi saliamo.
Ma per vivere l’incontro con Lui ed essere trasformati dalla preghiera, per elevarci a Dio, c’è bisogno del secondo movimento: scendere. Come mai? Che cosa significa questo? Per salire verso di Lui dobbiamo scendere dentro di noi: coltivare la sincerità e l’umiltà del cuore, che ci donano uno sguardo onesto sulle nostre fragilità e le nostre povertà interiori. Nell’umiltà, infatti, diventiamo capaci di portare a Dio, senza finzioni, ciò che realmente siamo, i limiti e le ferite, i peccati, le miserie che ci appesantiscono il cuore, e di invocare la sua misericordia perché ci risani, ci guarisca, ci rialzi. Sarà Lui a rialzarci, non noi. Più noi scendiamo con umiltà, più Dio ci fa salire in alto.
Infatti, il pubblicano della parabola umilmente si ferma a distanza – non si avvicina, ha vergogna –, chiede perdono, e il Signore lo rialza. Invece il fariseo si esalta, sicuro di sé, convinto di essere a posto: stando in piedi, inizia a parlare al Signore solo di sé stesso, a lodarsi, a elencare tutte le buone opere religiose che fa, e disprezza gli altri: “Non sono come quello là…”. Perché questo fa la superbia spirituale – “Ma padre, perché ci parla della superbia spirituale?”. Perché tutti noi rischiamo di cadere in questo –. Essa ti porta a crederti per bene e a giudicare gli altri. Questa è la superbia spirituale: “Io sto bene, io sono migliore degli altri: questo è la tal cosa, quello è la tal altra…”. E così, senza
accorgerti, adori il tuo io e cancelli il tuo Dio. È un ruotare intorno a sé stessi. Questa è la preghiera senza umiltà.
Fratelli, sorelle, il fariseo e il pubblicano ci riguardano da vicino. Pensando a loro, guardiamo a noi stessi: verifichiamo se in noi, come nel fariseo, c’è «l’intima presunzione di essere giusti» che ci porta a disprezzare gli altri. Succede, ad esempio, quando ricerchiamo i complimenti e facciamo sempre l’elenco dei nostri meriti e delle nostre buone opere, quando ci preoccupiamo dell’apparire anziché dell’essere, quando ci lasciamo intrappolare dal narcisismo e dall’esibizionismo. Vigiliamo sul narcisismo e sull’esibizionismo, fondati sulla vanagloria, che portano anche noi cristiani, noi preti, noi vescovi ad avere sempre una parola sulle labbra, quale parola? “Io”: “io ho fatto questo, io ho scritto quest’altro, io l’avevo detto, io l’avevo capito prima di voi”, e così via. Dove c’è troppo io, c’è poco Dio. Da noi, nella mia terra, questa persone le si chiama “io-con me per me-solo io”, questo è il nome di quella gente. E una volta si parlava di un prete che era così, centrato in sé stesso, e la gente per scherzare diceva: “Quello, quando fa l’incensazione, la fa a rovescio, si autoincensa”. È così, ti fa cadere anche nel ridicolo.
Chiediamo l’intercessione di Maria Santissima, l’umile serva del Signore, immagine vivente di ciò che il Signore ama compiere, rovesciando i potenti dai troni e innalzando gli umili (cfr Lc 1,52).
Riflessione dal sito dell’ordine dei carmelitani
• Luca 18,9: I destinatari della seconda parabola Questa seconda parabola del fariseo e del pubblicano viene introdotta con la seguente frase: "Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri!" La frase di Luca si riferisce, simultaneamente, al tempo di Gesù ed al tempo di Luca. Poi nelle comunità degli anni ’80, a cui Luca dirige il suo vangelo, c’erano persone afferrate all’antica tradizione del giudaismo che disprezzavano quelle che venivano dal paganesimo (cf. At 15,1.5).
• Luca 18,10: Introduce il tema della parabola Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Non poteva esserci un contrasto maggiore. Nell’opinione della gente di quel tempo, un pubblicano non valeva nulla e non poteva dirigersi a Dio, poiché era una persona impura, in quanto pubblicano, mentre il fariseo era una persona onorata e molto religiosa.
• Luca 18,11-12: Descrive come prega il fariseo Il fariseo prega in piedi e ringrazia Dio per non essere come gli altri: ladroni, disonesti, adulteri. La sua preghiera non è altro che un elogio per se stesso e delle cose che fa: digiuna e paga le decime. È un’esaltazione delle sue buone qualità ed un disprezzo per gli altri, soprattutto del pubblicano che si trova insieme a lui nello stesso posto. Non si sente fratello.
• Luca 18,13: Descrive come prega il pubblicano Il pubblicano non osa alzare lo sguardo, si batte il petto ed appena dice: “Mio Dio, abbi pietà di me peccatore!" Si mette al suo posto dinanzi a Dio.
• Luca 18,14: Gesù dà la sua opinione su tutti e due Se Gesù avesse chiesto alla gente chi tornò a casa sua giustificato, tutti avrebbero risposto: “Il fariseo!” Ma Gesù pensa in modo diverso. Chi ritorna giustificato (con buone relazioni con Dio) non è il fariseo, bensì il pubblicano. Di nuovo, Gesù gira tutto al rovescio. A molte persone non sarà piaciuta
l’applicazione che fa di questa parabola.
• Quali sono gli atteggiamenti del fariseo e del
pubblicano? Cosa colpisce maggiormente
nell’atteggiamento di ognuno di loro? Perché
• Qual è l’applicazione che Gesù fa della parabola?
• Il mio aiuto viene dal Signore.